Percorso tematico
Milano negli occhi – Ferdinando Scianna alla Fiera Campionaria, 1966
Milano, inevitabilmente
“Nel 1966 partii per Milano.
Non ho grandi e patetiche storie di bohème da raccontare. Ho amato subito Milano. Era allora una città, diversamente da altre del nord, e molto più di oggi, mi pare, aperta e generosa verso chi arrivava. Cercavo lavoro, ne trovavo poco, ma qualcosa trovavo. I primi mobili furono scatoloni di cartone, ma mi avevano affittato un appartamento, conoscevo persone, ero comunque pieno di energia.”
A scrivere queste parole, affidate alle pagine del volume autografo Autoritratto di un fotografo, è Ferdinando Scianna, uno dei più grandi fotoreporter italiani del Novecento.
Ciò che queste poche righe rivelano non è solo l’annotazione di un ordinario resoconto di vita ma la traccia di uno spartiacque che testimonia una svolta nella vita del giovane fotografo siciliano.
“Nel 1966 partii per Milano.
Non ho grandi e patetiche storie di bohème da raccontare. Ho amato subito Milano. Era allora una città, diversamente da altre del nord, e molto più di oggi, mi pare, aperta e generosa verso chi arrivava. Cercavo lavoro, ne trovavo poco, ma qualcosa trovavo. I primi mobili furono scatoloni di cartone, ma mi avevano affittato un appartamento, conoscevo persone, ero comunque pieno di energia.”
A scrivere queste parole, affidate alle pagine del volume autografo Autoritratto di un fotografo, è Ferdinando Scianna, uno dei più grandi fotoreporter italiani del Novecento.
Ciò che queste poche righe rivelano non è solo l’annotazione di un ordinario resoconto di vita ma la traccia di uno spartiacque che testimonia una svolta nella vita del giovane fotografo siciliano.
Tra fatica e fato
Nato a Bagheria, in provincia di Palermo, il 4 luglio del 1943, Scianna deve il suo successo all’incontro con una delle personalità più importanti della seconda metà del Novecento, Leonardo Sciascia.
L’incontro tra i due avviene per caso, nel 1963. Scianna, attratto dal racconto di una Sicilia autentica e poco stereotipata, aveva da poco ripercorso, sulla scia dei ricordi di infanzia, le strade dei paesi in festa per le ricorrenze religiose, fotografando volti e situazioni e illuminando le relazioni tra l’uomo, l’ambiente e il sacro.
Uno sguardo, il suo, più antropologico che estetico, una fotografia al servizio della realtà. È da questo suo intenso lavoro che nasce la piccola mostra esposta al circolo di cultura di Bagheria che Leonardo Sciascia visita insieme a un comune amico, Vincenzo D’Alessandro. I due non si incontrano: è Sciascia, colpito dalla poetica del giovane fotografo siciliano, a lasciare per lui un biglietto di congratulazioni.
Qualche tempo dopo, il 16 agosto dello stesso anno, di ritorno da Butera per gli scatti alla festa del Serpentazzo e dopo essere passato per la poverissima Palma di Montechiaro, Scianna decide di deviare per Recalmuto, per cercare lo scrittore.
Nella casa di campagna di Sciascia, scoppia la scintilla che animerà, per i ventisette anni a venire, il profondo legame amicale e artistico tra i due uomini.
Mangiatore di vita, Scianna aveva trovato “la persona chiave” della sua vita.
Nato a Bagheria, in provincia di Palermo, il 4 luglio del 1943, Scianna deve il suo successo all’incontro con una delle personalità più importanti della seconda metà del Novecento, Leonardo Sciascia.
L’incontro tra i due avviene per caso, nel 1963. Scianna, attratto dal racconto di una Sicilia autentica e poco stereotipata, aveva da poco ripercorso, sulla scia dei ricordi di infanzia, le strade dei paesi in festa per le ricorrenze religiose, fotografando volti e situazioni e illuminando le relazioni tra l’uomo, l’ambiente e il sacro.
Uno sguardo, il suo, più antropologico che estetico, una fotografia al servizio della realtà. È da questo suo intenso lavoro che nasce la piccola mostra esposta al circolo di cultura di Bagheria che Leonardo Sciascia visita insieme a un comune amico, Vincenzo D’Alessandro. I due non si incontrano: è Sciascia, colpito dalla poetica del giovane fotografo siciliano, a lasciare per lui un biglietto di congratulazioni.
Qualche tempo dopo, il 16 agosto dello stesso anno, di ritorno da Butera per gli scatti alla festa del Serpentazzo e dopo essere passato per la poverissima Palma di Montechiaro, Scianna decide di deviare per Recalmuto, per cercare lo scrittore.
Nella casa di campagna di Sciascia, scoppia la scintilla che animerà, per i ventisette anni a venire, il profondo legame amicale e artistico tra i due uomini.
Mangiatore di vita, Scianna aveva trovato “la persona chiave” della sua vita.
Dal Piccolo Orizzonte al premio Nadar
È Sciascia a inviare al settimanale diretto da Davide Lajolo, “Vite Nuove”, alcune delle foto scattate da Scianna a Palma di Montechiaro. Ne nasce un servizio di otto pagine con un filo narrativo teso dallo stesso Sciascia, che inquadra con le parole la miseria ritratta dal giovane fotografo.
Alla fine del 1963 è ancora lo scrittore a comporre la presentazione per la prima mostra di Scianna alla Biblioteca Sormani di Milano. Quella stessa paginetta diventa, nell’arco di un paio d’anni, la spina portante del saggio di apertura di Feste Religiose in Sicilia, il primo libro fotografico di Scianna, che la casa editrice Leonardo da Vinci pubblica nel gennaio del 1965 nella collana “Piccolo Orizzonte”.
La pubblicazione segna l’irrompere della fotografia di qualità nella documentazione etnologica: per queste fotografie, Scianna riceve il premio Nadar; di lì a poco, “Popular Fotography” americano gli dedicherà un portfolio sull’Annuario (1966).
Con questo passaporto per la sua futura professione, nel 1965 Scianna tenta l’avventura al nord e arriva a Milano.
È Sciascia a inviare al settimanale diretto da Davide Lajolo, “Vite Nuove”, alcune delle foto scattate da Scianna a Palma di Montechiaro. Ne nasce un servizio di otto pagine con un filo narrativo teso dallo stesso Sciascia, che inquadra con le parole la miseria ritratta dal giovane fotografo.
Alla fine del 1963 è ancora lo scrittore a comporre la presentazione per la prima mostra di Scianna alla Biblioteca Sormani di Milano. Quella stessa paginetta diventa, nell’arco di un paio d’anni, la spina portante del saggio di apertura di Feste Religiose in Sicilia, il primo libro fotografico di Scianna, che la casa editrice Leonardo da Vinci pubblica nel gennaio del 1965 nella collana “Piccolo Orizzonte”.
La pubblicazione segna l’irrompere della fotografia di qualità nella documentazione etnologica: per queste fotografie, Scianna riceve il premio Nadar; di lì a poco, “Popular Fotography” americano gli dedicherà un portfolio sull’Annuario (1966).
Con questo passaporto per la sua futura professione, nel 1965 Scianna tenta l’avventura al nord e arriva a Milano.
Commissione Fotografo: l’esperienza in Publifoto
Tra i primi lavori che gli vengono commissionati, Scianna riceve il mandato di scattare alcune immagini in via Montenapoleone dal direttore di Publifoto, Vincenzo Carrese.
Più che un lavoro, è una sfida, lanciata sulla provocazione che fotografare i poveri, per lo più religiosi, come aveva fatto Scianna nelle Feste, fosse un approccio facile e scontato, perché troppo evidente la leva dell’emotività e del coinvolgimento empatico dello spettatore.
Carrese aveva fondato l’agenzia Publifoto nel 1937. Grazie a un nutrito gruppo di fotografi, era in grado di documentare eventi di ogni tipo, con una predilezione per le fotografie di cronaca, sport e attualità servite al mercato editoriale.
Quando Scianna si affaccia alle sue porte, l’agenzia ha all’attivo diverse filiali in Italia, collaborazioni con vari quotidiani («L’Unità», «L’Europeo», «Il Giorno»), un breve sodalizio con l’ANSA e l’intenzione di allargare la propria produzione alle fotografie a colori e ai lavori commissionati dalle aziende.
Come racconterà molti decenni dopo, Scianna resta per giorni in quella via elegante a fotografare “i montenapoleonidi”, scattando con “cattiveria, con sarcasmo”. Come appunterà in La geometria e la passione, Milano gli appariva come “un crocevia italiano, appena europeo, dove negli anni ‘60 sbarcano ancora poveracci venuti dal meridione”.
Ma a Carrese gli scatti del fotografo di Bagheria non piacciono. Sono cupi, tristi. “Invendibili”.
Le immagini di Scianna hanno fin dagli esordi tratti precisi e una composizione magistrale, immerse nella realtà rappresentata e al contempo dotate di una intensissima capacità di evocazione.
Fotografare è per lui, come dirà molto tempo dopo, una maniera di vivere: “l’importante è la vita, non la fotografia. Importante è raccontare. Se si parte dalla fotografia non si arriva in nessun altro posto che alla fotografia. (…) Diffido di chi utilizza una lingua urlata solo per farsi sentire più lontano, per attirare l’attenzione. Il problema (…) non è quanto forte urli; è quello che ci metti dentro l’urlo, dentro la densità estetica del linguaggio”.
Tra i primi lavori che gli vengono commissionati, Scianna riceve il mandato di scattare alcune immagini in via Montenapoleone dal direttore di Publifoto, Vincenzo Carrese.
Più che un lavoro, è una sfida, lanciata sulla provocazione che fotografare i poveri, per lo più religiosi, come aveva fatto Scianna nelle Feste, fosse un approccio facile e scontato, perché troppo evidente la leva dell’emotività e del coinvolgimento empatico dello spettatore.
Carrese aveva fondato l’agenzia Publifoto nel 1937. Grazie a un nutrito gruppo di fotografi, era in grado di documentare eventi di ogni tipo, con una predilezione per le fotografie di cronaca, sport e attualità servite al mercato editoriale.
Quando Scianna si affaccia alle sue porte, l’agenzia ha all’attivo diverse filiali in Italia, collaborazioni con vari quotidiani («L’Unità», «L’Europeo», «Il Giorno»), un breve sodalizio con l’ANSA e l’intenzione di allargare la propria produzione alle fotografie a colori e ai lavori commissionati dalle aziende.
Come racconterà molti decenni dopo, Scianna resta per giorni in quella via elegante a fotografare “i montenapoleonidi”, scattando con “cattiveria, con sarcasmo”. Come appunterà in La geometria e la passione, Milano gli appariva come “un crocevia italiano, appena europeo, dove negli anni ‘60 sbarcano ancora poveracci venuti dal meridione”.
Ma a Carrese gli scatti del fotografo di Bagheria non piacciono. Sono cupi, tristi. “Invendibili”.
Le immagini di Scianna hanno fin dagli esordi tratti precisi e una composizione magistrale, immerse nella realtà rappresentata e al contempo dotate di una intensissima capacità di evocazione.
Fotografare è per lui, come dirà molto tempo dopo, una maniera di vivere: “l’importante è la vita, non la fotografia. Importante è raccontare. Se si parte dalla fotografia non si arriva in nessun altro posto che alla fotografia. (…) Diffido di chi utilizza una lingua urlata solo per farsi sentire più lontano, per attirare l’attenzione. Il problema (…) non è quanto forte urli; è quello che ci metti dentro l’urlo, dentro la densità estetica del linguaggio”.
Fotografie antropologiche alla Fiera campionaria
Quello di via Montenapoleone, mai pubblicato, non è l’unico servizio commissionato a Scianna da Publifoto negli anni milanesi.
Nel 1966, Carrese lo invia alla Fiera Campionaria. Di questo lavoro, l’Ente Fiera Milano conserva oggi nell’archivio storico 42 scatti dell’autore, testimonianza di una delle sue prime esperienze da fotoreporter.
In queste foto, Scianna non va in cerca di curiosità da reperire e fotografare, ma si concentra, di nuovo, sull’incontro. Tutto ciò che implica una relazione o “un insieme di relazioni tra due persone, una persona e un soggetto”, in qualunque forma, siano anche giustapposizioni o contingenze.
Al centro dei suoi scatti, si ritrovano spesso una situazione, delle situazioni che sollecitano lo sguardo.
Niente sembra esistere senza lo sguardo che coglie frammenti di mondo da fissare nelle foto.
Diranno di lui che “Scianna non fotografa persone od oggetti in sé, coglie delle relazioni, che possono anche essere di luci, prodotte dal bianco e nero, e talvolta sorprendenti”.
Le foto di Scianna mostrano, non dimostrano e, nel mostrare, ritraggono la realtà per quella che appare al di là dell’obiettivo, senza alterarla al servizio di un’aspettativa o di un desiderio.
Quello di via Montenapoleone, mai pubblicato, non è l’unico servizio commissionato a Scianna da Publifoto negli anni milanesi.
Nel 1966, Carrese lo invia alla Fiera Campionaria. Di questo lavoro, l’Ente Fiera Milano conserva oggi nell’archivio storico 42 scatti dell’autore, testimonianza di una delle sue prime esperienze da fotoreporter.
In queste foto, Scianna non va in cerca di curiosità da reperire e fotografare, ma si concentra, di nuovo, sull’incontro. Tutto ciò che implica una relazione o “un insieme di relazioni tra due persone, una persona e un soggetto”, in qualunque forma, siano anche giustapposizioni o contingenze.
Al centro dei suoi scatti, si ritrovano spesso una situazione, delle situazioni che sollecitano lo sguardo.
Niente sembra esistere senza lo sguardo che coglie frammenti di mondo da fissare nelle foto.
Diranno di lui che “Scianna non fotografa persone od oggetti in sé, coglie delle relazioni, che possono anche essere di luci, prodotte dal bianco e nero, e talvolta sorprendenti”.
Le foto di Scianna mostrano, non dimostrano e, nel mostrare, ritraggono la realtà per quella che appare al di là dell’obiettivo, senza alterarla al servizio di un’aspettativa o di un desiderio.
La fotografia carica di tempo
Milano dischiude le porte della sua carriera.
Nel settembre del 1967 Scianna viene assunto a «L’Europeo», dove apprende il mestiere del fotoreporter, in un contesto “irripetibile del giornalismo italiano”, nutrito di grandi intellettuali: “un mondo pieno di gente fuori dall’ordinario”, che anima una piccola redazione capace di affrontare con perizia servizi di cronaca e grandi reportage.
Da lì in avanti, si aprirà un futuro, puntellato di andate e ritorni in giro per il mondo in cui Scianna realizzerà reportage importanti, in autonomia o all’interno di collettivi prestigiosi come quello dell’agenzia Magnum.
Con una costante, rintracciabile in tutti i suoi lavori. Quasi un principio etico di fondo, traccia poetica del suo linguaggio: “Io non credo (…) che le fotografie abbiano la forza di cambiare in meglio il mondo, però mi ostino a pensare che le cattive fotografie – e dico cattive, non brutte, perché brutto e bello su questo terreno andrebbero sempre specificatamente definiti – lo peggiorino. Quindi si è sempre responsabili di quello che si fa, è necessario muoversi comunque al massimo livello qualitativo anche in termini linguistici oltre che in termini di chiarezza e sincerità.”
Milano dischiude le porte della sua carriera.
Nel settembre del 1967 Scianna viene assunto a «L’Europeo», dove apprende il mestiere del fotoreporter, in un contesto “irripetibile del giornalismo italiano”, nutrito di grandi intellettuali: “un mondo pieno di gente fuori dall’ordinario”, che anima una piccola redazione capace di affrontare con perizia servizi di cronaca e grandi reportage.
Da lì in avanti, si aprirà un futuro, puntellato di andate e ritorni in giro per il mondo in cui Scianna realizzerà reportage importanti, in autonomia o all’interno di collettivi prestigiosi come quello dell’agenzia Magnum.
Con una costante, rintracciabile in tutti i suoi lavori. Quasi un principio etico di fondo, traccia poetica del suo linguaggio: “Io non credo (…) che le fotografie abbiano la forza di cambiare in meglio il mondo, però mi ostino a pensare che le cattive fotografie – e dico cattive, non brutte, perché brutto e bello su questo terreno andrebbero sempre specificatamente definiti – lo peggiorino. Quindi si è sempre responsabili di quello che si fa, è necessario muoversi comunque al massimo livello qualitativo anche in termini linguistici oltre che in termini di chiarezza e sincerità.”