Percorso tematico
L’insostenibile eternità della plastica
Storia di un successo del made in Italy, tra design, boom economico e problemi di futuro
«E Mo', e Mo', e Mo'... Moplen!»
Scrive Michele Masneri, in un vivace articolo dedicato alla storia della plastica[i], che nel dopoguerra essa “avvolse come un delizioso packaging il boom industriale-identitario italiano”. Dice il vero, perché senza questo materiale innovativo e durevole oltre i nostri desideri, l’epopea della ripresa industriale del dopoguerra non sarebbe stata la stessa. Poco importa se all’inizio la plastica divise la scena con il legno – duttile, perfetto per i laminati, ma meno automatizzabile e quindi meno economico – o se il suo impiego venne immaginato in modo anonimo e poco fantasioso. L’epoca d’oro era alle porte, e vi si sarebbero bagnati tantissimi settori industriali.
La svolta, perché nelle storie di successo ce n’è sempre una, avviene presto. È il 1954, Giulio Natta sta studiando la sintesi dei polimeri, da lì all’invenzione del polipropilene isotattico il passo è breve. Quello che nasce si chiama Moplen e un decennio dopo (1963) varrà al chimico della Montecatini il premio Nobel assieme a Karl Ziegler. Nel frattempo, a Milano, la nuova molecola plastica fa il suo ingresso nel mondo della produzione (casalinghi, giocattoli, guarnizioni, contenitori per alimenti ecc.) scegliendo come vetrina d’elezione quella del Padiglione della Montecatini, che ne deteneva il brevetto, alla Fiera di Milano del 1957.
Nel mondo dei materiali termoplastici è rivoluzione: le sue caratteristiche di resistenza meccanica e la sua economicità di lavorazione rendono il Moplen il marchio di punta nella produzione di oggetti di plastica e il simbolo della rinascita.
Il successo del suo impiego è ascrivibile alle sue qualità inoppugnabili, ma il merito della sua diffusione si deve anche un po’ al tormentone con cui quel nome entra di diritto nelle case degli italiani. Grazie a un comico, Gino Bramieri, e a una trasmissione televisiva, Carosello, da cui si diffuse il refrain:
«E Mo’, e Mo’, e Mo’… Moplen!»
e con
«Ma signora badi ben che sia fatto di moplen!»
Se il Paese si muove, a farlo è anche la Fiera. Nel 1964 vedono la luce PLAST, la Fiera specializzata delle materie plastiche e MACEF, la Mostra per articoli casalinghi e ferramenta. Un cammino, quello della Fiera, che prosegue inarrestabile dalla prima edizione post bellica del 1946, in cui era assurta a simbolo per eccellenza di una città – Milano – operosa e costruttiva, che voleva lasciarsi il passato alle spalle agguantando il miracolo che ora sembrava possibile. Un movimento che, pur tra non poche contraddizioni, si preparava ad aprire le porte a una nuova era: quella della civiltà dei consumi, che nel decennio successivo diventeranno di massa. Regalando il primato indiscusso alla plastica.
Saranno anni roboanti: con i consumi cresceranno anche il prodotto interno lordo, il livello d’istruzione, la spesa sanitaria, i trasporti pubblici e privati, la qualità del cibo e dell’alimentazione.
Priva di materie prime, l’Italia si specializza nella produzione di lavorati e semilavorati; presto, il cambio di passo dalla mentalità autarchica a quella di mercato consolida l’imprenditoria italiana, gettando le basi per un nuovo stile industriale, caratterizzato da un combinato disposto di creatività, coraggio, visione, innovazione. È il Made in Italy, che porterà settori come la moda, l’architettura, il design e la meccanica di precisione a diventare eccellenze mondiali.
[i] M. Masneri, La creazione della plastica, in “Il Foglio”, 11/11/2019
Scrive Michele Masneri, in un vivace articolo dedicato alla storia della plastica[i], che nel dopoguerra essa “avvolse come un delizioso packaging il boom industriale-identitario italiano”. Dice il vero, perché senza questo materiale innovativo e durevole oltre i nostri desideri, l’epopea della ripresa industriale del dopoguerra non sarebbe stata la stessa. Poco importa se all’inizio la plastica divise la scena con il legno – duttile, perfetto per i laminati, ma meno automatizzabile e quindi meno economico – o se il suo impiego venne immaginato in modo anonimo e poco fantasioso. L’epoca d’oro era alle porte, e vi si sarebbero bagnati tantissimi settori industriali.
La svolta, perché nelle storie di successo ce n’è sempre una, avviene presto. È il 1954, Giulio Natta sta studiando la sintesi dei polimeri, da lì all’invenzione del polipropilene isotattico il passo è breve. Quello che nasce si chiama Moplen e un decennio dopo (1963) varrà al chimico della Montecatini il premio Nobel assieme a Karl Ziegler. Nel frattempo, a Milano, la nuova molecola plastica fa il suo ingresso nel mondo della produzione (casalinghi, giocattoli, guarnizioni, contenitori per alimenti ecc.) scegliendo come vetrina d’elezione quella del Padiglione della Montecatini, che ne deteneva il brevetto, alla Fiera di Milano del 1957.
Nel mondo dei materiali termoplastici è rivoluzione: le sue caratteristiche di resistenza meccanica e la sua economicità di lavorazione rendono il Moplen il marchio di punta nella produzione di oggetti di plastica e il simbolo della rinascita.
Il successo del suo impiego è ascrivibile alle sue qualità inoppugnabili, ma il merito della sua diffusione si deve anche un po’ al tormentone con cui quel nome entra di diritto nelle case degli italiani. Grazie a un comico, Gino Bramieri, e a una trasmissione televisiva, Carosello, da cui si diffuse il refrain:
«E Mo’, e Mo’, e Mo’… Moplen!»
e con
«Ma signora badi ben che sia fatto di moplen!»
Se il Paese si muove, a farlo è anche la Fiera. Nel 1964 vedono la luce PLAST, la Fiera specializzata delle materie plastiche e MACEF, la Mostra per articoli casalinghi e ferramenta. Un cammino, quello della Fiera, che prosegue inarrestabile dalla prima edizione post bellica del 1946, in cui era assurta a simbolo per eccellenza di una città – Milano – operosa e costruttiva, che voleva lasciarsi il passato alle spalle agguantando il miracolo che ora sembrava possibile. Un movimento che, pur tra non poche contraddizioni, si preparava ad aprire le porte a una nuova era: quella della civiltà dei consumi, che nel decennio successivo diventeranno di massa. Regalando il primato indiscusso alla plastica.
Saranno anni roboanti: con i consumi cresceranno anche il prodotto interno lordo, il livello d’istruzione, la spesa sanitaria, i trasporti pubblici e privati, la qualità del cibo e dell’alimentazione.
Priva di materie prime, l’Italia si specializza nella produzione di lavorati e semilavorati; presto, il cambio di passo dalla mentalità autarchica a quella di mercato consolida l’imprenditoria italiana, gettando le basi per un nuovo stile industriale, caratterizzato da un combinato disposto di creatività, coraggio, visione, innovazione. È il Made in Italy, che porterà settori come la moda, l’architettura, il design e la meccanica di precisione a diventare eccellenze mondiali.
[i] M. Masneri, La creazione della plastica, in “Il Foglio”, 11/11/2019
Fiera, Design, Made in Italy
Il Made in Italy vivrà nella Fiera momenti fortemente generativi, con padiglioni sempre più ricchi di novità e affollati di pubblico. La Fiera è per sua natura luogo elettivo dove nascono, vengono accolti e interpretati i fenomeni culturali, sociali, architettonici, industriali, finanche urbanistici e letterari che investono la società. Specchio ideale dei processi trasformativi che investono il Paese e che aprono l’Italia al mondo, ponendo in relazione industria, commercio e società.
A dirlo bene sono le parole di Aldo Nove:
“È difficile dire che cosa fosse la Fiera Campionaria trent’anni fa. Il più grande centro commerciale del mondo.
Un mondo in cui c’erano tutti i negozi riassunti in uno spazio dove tu passavi e vedevi le cose e sapevi che c’erano e il vuoto e il Cosmo si riempivano di colori e elettrodomestici esotici, cibi sconosciuti e macchine fantascientifiche, le prodigiose sorti del Moplen. Un carosello tridimensionale. Il paradiso delle merci. Nel palazzo delle Nazioni c’era un piccolo bigino della Terra, ogni stand era uno Stato e con le scale mobili ti spostavi da un continente all’altro, dentro Milano”.[i]
Quello che avviene in Fiera è la metafora della trasformazione produttiva del Paese. Se all’inizio il passaggio dalle grandi produzioni alle filiere moderne è un po’ ruvido, presto quello che era stato derubricato come mero decentramento produttivo si manifesta nel suo reale potenziale trasformativo. A partire dal rapporto virtuoso tra industria dell’arredo e design. Esito perfetto di questo connubio è la prima edizione del Salone del Mobile nel 1961, dove si celebra il design di prodotto, aprendo a una cultura del progetto che trova nella collaborazione tra industria e creatività della Milano del boom economico la sua espressione più alta.
L’Italia non corre, ma ritorna a camminare: dietro l’angolo c’è un futuro pieno di ottimismo. E Milano è la “città più città d’Italia”, motore industriale e sempre più capitale del design, della moda, della musica e del gusto.
[i] A. Nove, Nove 2004, Milano non è Milano, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 20
Il Made in Italy vivrà nella Fiera momenti fortemente generativi, con padiglioni sempre più ricchi di novità e affollati di pubblico. La Fiera è per sua natura luogo elettivo dove nascono, vengono accolti e interpretati i fenomeni culturali, sociali, architettonici, industriali, finanche urbanistici e letterari che investono la società. Specchio ideale dei processi trasformativi che investono il Paese e che aprono l’Italia al mondo, ponendo in relazione industria, commercio e società.
A dirlo bene sono le parole di Aldo Nove:
“È difficile dire che cosa fosse la Fiera Campionaria trent’anni fa. Il più grande centro commerciale del mondo.
Un mondo in cui c’erano tutti i negozi riassunti in uno spazio dove tu passavi e vedevi le cose e sapevi che c’erano e il vuoto e il Cosmo si riempivano di colori e elettrodomestici esotici, cibi sconosciuti e macchine fantascientifiche, le prodigiose sorti del Moplen. Un carosello tridimensionale. Il paradiso delle merci. Nel palazzo delle Nazioni c’era un piccolo bigino della Terra, ogni stand era uno Stato e con le scale mobili ti spostavi da un continente all’altro, dentro Milano”.[i]
Quello che avviene in Fiera è la metafora della trasformazione produttiva del Paese. Se all’inizio il passaggio dalle grandi produzioni alle filiere moderne è un po’ ruvido, presto quello che era stato derubricato come mero decentramento produttivo si manifesta nel suo reale potenziale trasformativo. A partire dal rapporto virtuoso tra industria dell’arredo e design. Esito perfetto di questo connubio è la prima edizione del Salone del Mobile nel 1961, dove si celebra il design di prodotto, aprendo a una cultura del progetto che trova nella collaborazione tra industria e creatività della Milano del boom economico la sua espressione più alta.
L’Italia non corre, ma ritorna a camminare: dietro l’angolo c’è un futuro pieno di ottimismo. E Milano è la “città più città d’Italia”, motore industriale e sempre più capitale del design, della moda, della musica e del gusto.
[i] A. Nove, Nove 2004, Milano non è Milano, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 20
L’età (dei compassi) d’oro
In due decenni, la plastica diventa un materiale di tendenza.
E gli industriali legano la propria immagine a maestri del design: aziende come Cassina, Danese, Alessi e altri si accompagnano sempre più spesso ai nomi di Gio Ponti, Angelo Mangiarotti, Enzo Mari, Bruno Munari, Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Marco Zanuso, Richard Sapper e diversi altri.
Un’intera macchina industriale e intellettuale si volge al servizio dell’ordinario, per ridisegnare la quotidianità. Il Paese scopre nuovi bisogni e l’industria risponde puntuale, cogliendo le opportunità offerte dal progresso tecnico. La creatività sperimenta i nuovi materiali: a nascere non sono solo nuovi oggetti, ma nuovi modi di usarli.
Sono gli anni d’oro per aziende come Kartell. Il fondatore Giulio Castelli, un chimico, con la moglie Anna Castelli Ferrieri, architetta, da Noviglio (hinterland milanese) porteranno mobili e oggetti di design industriale in plastica a livelli di icona mondiali.
Sono gli anni dell’illuminotecnica innovativa, delle sedute sperimentali, degli utensili iconici (due su tutti: Sacco poltrona di Piero Gatti, Cesare Paolini e Franco Teodoro per Zanotta, 1968, Pratone di Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso per Gufram, 1971).
E sono anche gli anni di designer come Achille e Pier Giacomo Castiglioni, che in Fiera firmano gli allestimenti dei padiglioni Rai e Montecatini, e ricevono a più riprese riconoscimenti quali Compasso d’oro, il più autorevole premio mondiale di Design.
In due decenni, la plastica diventa un materiale di tendenza.
E gli industriali legano la propria immagine a maestri del design: aziende come Cassina, Danese, Alessi e altri si accompagnano sempre più spesso ai nomi di Gio Ponti, Angelo Mangiarotti, Enzo Mari, Bruno Munari, Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Marco Zanuso, Richard Sapper e diversi altri.
Un’intera macchina industriale e intellettuale si volge al servizio dell’ordinario, per ridisegnare la quotidianità. Il Paese scopre nuovi bisogni e l’industria risponde puntuale, cogliendo le opportunità offerte dal progresso tecnico. La creatività sperimenta i nuovi materiali: a nascere non sono solo nuovi oggetti, ma nuovi modi di usarli.
Sono gli anni d’oro per aziende come Kartell. Il fondatore Giulio Castelli, un chimico, con la moglie Anna Castelli Ferrieri, architetta, da Noviglio (hinterland milanese) porteranno mobili e oggetti di design industriale in plastica a livelli di icona mondiali.
Sono gli anni dell’illuminotecnica innovativa, delle sedute sperimentali, degli utensili iconici (due su tutti: Sacco poltrona di Piero Gatti, Cesare Paolini e Franco Teodoro per Zanotta, 1968, Pratone di Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso per Gufram, 1971).
E sono anche gli anni di designer come Achille e Pier Giacomo Castiglioni, che in Fiera firmano gli allestimenti dei padiglioni Rai e Montecatini, e ricevono a più riprese riconoscimenti quali Compasso d’oro, il più autorevole premio mondiale di Design.
Il costo del futuro
Ma ogni medaglia ha il suo lato nascosto, e anche il successo chiede il suo conto. Non fa eccezione la plastica, che dopo meno di mezzo secolo ci obbliga ad affrontare il tema non facile del ciclo di vita dei manufatti: sempre più estemporanei e sempre più durevoli nel tempo. Ingiusto farne una mera questione di materiale, meglio invece rimettere al centro e correggere la distorsione di mercato che queste sfide portano con sé. Questione di prezzo, in sintesi, che andrebbe riequilibrato al costo dello smaltimento, che grava leggero sul presente per affondare la collettività futura.
Quando si dice che qualcosa è per sempre, vale la pena pensarci.
Ma ogni medaglia ha il suo lato nascosto, e anche il successo chiede il suo conto. Non fa eccezione la plastica, che dopo meno di mezzo secolo ci obbliga ad affrontare il tema non facile del ciclo di vita dei manufatti: sempre più estemporanei e sempre più durevoli nel tempo. Ingiusto farne una mera questione di materiale, meglio invece rimettere al centro e correggere la distorsione di mercato che queste sfide portano con sé. Questione di prezzo, in sintesi, che andrebbe riequilibrato al costo dello smaltimento, che grava leggero sul presente per affondare la collettività futura.
Quando si dice che qualcosa è per sempre, vale la pena pensarci.