Percorso tematico
La Fiera del possibile: la Campionaria del 1985 nello sguardo di Gabriele Basilico e Berengo Gardin
Dal suo primo anno di vita, il 1920, la Fiera Campionaria di Milano ha accompagnato la storia del Paese, raccontando l’evoluzione dell’economia e dello sviluppo dei settori strategici attraverso l’organizzazione di eventi fieristici di rilievo prima nazionale e poi internazionale.
Nel 1985, sessantacinque anni dopo la prima manifestazione, la Fiera ospita un’edizione speciale.
L’ente espositivo è infatti proiettato verso un nuovo assetto, orientato al ripensamento strategico di ruoli e funzioni e all’avvio di un nuovo ciclo di attività.
Assecondando il cambiamento del contesto nazionale e internazionale, l’Ente Fiera si muove per mettere a sistema le opportunità di crescita. L’obiettivo è esportare il Made in Italy attraverso l’organizzazione di manifestazioni fuori dal confine italiano e, al contempo, inglobare il mondo intero all’interno della Fiera. Per questo sorgerà una divisione ad hoc, il Milanfair Overseas Exhibitions, vero e proprio braccio operativo.
Dal suo primo anno di vita, il 1920, la Fiera Campionaria di Milano ha accompagnato la storia del Paese, raccontando l’evoluzione dell’economia e dello sviluppo dei settori strategici attraverso l’organizzazione di eventi fieristici di rilievo prima nazionale e poi internazionale.
Nel 1985, sessantacinque anni dopo la prima manifestazione, la Fiera ospita un’edizione speciale.
L’ente espositivo è infatti proiettato verso un nuovo assetto, orientato al ripensamento strategico di ruoli e funzioni e all’avvio di un nuovo ciclo di attività.
Assecondando il cambiamento del contesto nazionale e internazionale, l’Ente Fiera si muove per mettere a sistema le opportunità di crescita. L’obiettivo è esportare il Made in Italy attraverso l’organizzazione di manifestazioni fuori dal confine italiano e, al contempo, inglobare il mondo intero all’interno della Fiera. Per questo sorgerà una divisione ad hoc, il Milanfair Overseas Exhibitions, vero e proprio braccio operativo.
1985: cerniera tra passato e futuro
La Campionaria del 1985 rappresenta dunque, per molti versi, una vera e propria cerniera tra il passato e il futuro.
La trasformazione investe la manifestazione nella sua totalità: dalle date alla durata, dall’immagine coordinata alla denominazione, che da Campionaria si trasformerà in Grande Fiera d’Aprile: a qualche mese dall’inaugurazione, un redazionale del Corriere della Sera, il 18 dicembre del 1984, annuncia il bando per la revisione del logo e dell’immagine coordinata, per le quali arrivano oltre 10.000 proposte provenienti da 52 Paesi del mondo.
Il concorso è, nei fatti, solo “uno dei molti programmi che la Fiera di Milano sta sviluppando o ha in animo di sviluppare nel futuro “per adeguare sempre di più il suo ruolo alle moderne esigenze dell’economia internazionale. (…), tutte le funzioni del maggior organismo fieristico italiano sono soggette a un processo evolutivo dal quale deriveranno (…) profonde modificazioni della natura stessa della Fiera.
Come scriverà Alberto Trivulzio sul Corriere della Sera del 19 dicembre dello stesso anno, quella del 1985 verrà ricordata come “l’ultima manifestazione organizzata secondo schemi classici, la prima (timidamente) immaginata sulla base di un nuovo disegno progettuale”.
La Campionaria del 1985 rappresenta dunque, per molti versi, una vera e propria cerniera tra il passato e il futuro.
La trasformazione investe la manifestazione nella sua totalità: dalle date alla durata, dall’immagine coordinata alla denominazione, che da Campionaria si trasformerà in Grande Fiera d’Aprile: a qualche mese dall’inaugurazione, un redazionale del Corriere della Sera, il 18 dicembre del 1984, annuncia il bando per la revisione del logo e dell’immagine coordinata, per le quali arrivano oltre 10.000 proposte provenienti da 52 Paesi del mondo.
Il concorso è, nei fatti, solo “uno dei molti programmi che la Fiera di Milano sta sviluppando o ha in animo di sviluppare nel futuro “per adeguare sempre di più il suo ruolo alle moderne esigenze dell’economia internazionale. (…), tutte le funzioni del maggior organismo fieristico italiano sono soggette a un processo evolutivo dal quale deriveranno (…) profonde modificazioni della natura stessa della Fiera.
Come scriverà Alberto Trivulzio sul Corriere della Sera del 19 dicembre dello stesso anno, quella del 1985 verrà ricordata come “l’ultima manifestazione organizzata secondo schemi classici, la prima (timidamente) immaginata sulla base di un nuovo disegno progettuale”.
Due fotografi, due sguardi, un mondo nuovo
La Fiera stava cambiando, il compito di raccontare questo passaggio essenziale per la vita dell’istituzione e della manifestazione viene assegnato a due tra i più importanti fotografi italiani – Gabriele Basilico e Gianni Berengo Gardin.
Per segnare il passo dalle centinaia di migliaia di immagini che nel corso degli anni avevano ritratto le edizioni passate – e di converso, in filigrana, l’Italia del primo dopoguerra, dell’avvento del fascismo, della ricostruzione e del miracolo economico, della contestazione e del mondo post industriale – erano infatti necessari nuovi sguardi, liberi da schemi formali e capaci di cogliere non solo l’aspetto razionale ma anche il sostrato emotivo della realtà.
Sguardi pronti a leggere gli spazi come luoghi in potenza, colti nell’attimo che precede l’accoglienza di cose e persone; lenti diverse, pronte a osservare le persone come attori di “azioni imminenti e naturali”.
Quella che Gabriele Basilico e Gianni Berengo Gardin offrono della Fiera, secondo la lettura dei commentatori successivi, è certo solo una tra le immagini possibili, filtrata però dall’esperienza del mondo dei due autori e impregnata dalle loro rispettive sensibilità culturali e sociali.
Una immagine fatta di immagini nate dall’interazione con uno spazio delimitato, pubblico, conosciuto, in dialogo costante con precise visioni del reale e della realtà.
Un passo oltre la committenza, un esercizio di libertà.
È sempre Alberto Trivulzio, sul Corriere, a tratteggiare il senso di questa operazione:
“Della vecchia Fiera Campionaria rimarrà soltanto il ricordo? No, resterà anche un’immagine. Anzi, una serie di immagini. D’autore”.
La Fiera stava cambiando, il compito di raccontare questo passaggio essenziale per la vita dell’istituzione e della manifestazione viene assegnato a due tra i più importanti fotografi italiani – Gabriele Basilico e Gianni Berengo Gardin.
Per segnare il passo dalle centinaia di migliaia di immagini che nel corso degli anni avevano ritratto le edizioni passate – e di converso, in filigrana, l’Italia del primo dopoguerra, dell’avvento del fascismo, della ricostruzione e del miracolo economico, della contestazione e del mondo post industriale – erano infatti necessari nuovi sguardi, liberi da schemi formali e capaci di cogliere non solo l’aspetto razionale ma anche il sostrato emotivo della realtà.
Sguardi pronti a leggere gli spazi come luoghi in potenza, colti nell’attimo che precede l’accoglienza di cose e persone; lenti diverse, pronte a osservare le persone come attori di “azioni imminenti e naturali”.
Quella che Gabriele Basilico e Gianni Berengo Gardin offrono della Fiera, secondo la lettura dei commentatori successivi, è certo solo una tra le immagini possibili, filtrata però dall’esperienza del mondo dei due autori e impregnata dalle loro rispettive sensibilità culturali e sociali.
Una immagine fatta di immagini nate dall’interazione con uno spazio delimitato, pubblico, conosciuto, in dialogo costante con precise visioni del reale e della realtà.
Un passo oltre la committenza, un esercizio di libertà.
È sempre Alberto Trivulzio, sul Corriere, a tratteggiare il senso di questa operazione:
“Della vecchia Fiera Campionaria rimarrà soltanto il ricordo? No, resterà anche un’immagine. Anzi, una serie di immagini. D’autore”.
Gabriele Basilico, lettore di segni
Nato a Milano nel 1944 e prematuramente scomparso nel 2013, Basilico è stato uno dei più importanti maestri della fotografia italiana ed europea.
Architetto di formazione, ha dedicato gran parte del suo impegno al servizio di progetti dedicati alla trasformazione dei territori urbanizzati, “fissati” nel passaggio dall’età industriale a quella postindustriale. Il reportage sulla Fiera sembra dunque proseguire per certi versi il suo lavoro sulle strutture industriali e le fabbriche milanesi iniziato alla fine del decennio precedente.
Stimolato da un grande interesse per le architetture e le opere dell’uomo, Basilico lavora come “lettore di segni” secondo una felice definizione che nel 1984 ne dà il giornalista e fotografo francese Christian Caujolle: il suo è uno stile rigoroso e documentario, che indaga fin nelle pieghe il rapporto tra l’uomo e lo spazio in trasformazione.
Nato a Milano nel 1944 e prematuramente scomparso nel 2013, Basilico è stato uno dei più importanti maestri della fotografia italiana ed europea.
Architetto di formazione, ha dedicato gran parte del suo impegno al servizio di progetti dedicati alla trasformazione dei territori urbanizzati, “fissati” nel passaggio dall’età industriale a quella postindustriale. Il reportage sulla Fiera sembra dunque proseguire per certi versi il suo lavoro sulle strutture industriali e le fabbriche milanesi iniziato alla fine del decennio precedente.
Stimolato da un grande interesse per le architetture e le opere dell’uomo, Basilico lavora come “lettore di segni” secondo una felice definizione che nel 1984 ne dà il giornalista e fotografo francese Christian Caujolle: il suo è uno stile rigoroso e documentario, che indaga fin nelle pieghe il rapporto tra l’uomo e lo spazio in trasformazione.
La Fiera che emerge dagli scatti di Basilico è il “mondo del possibile”: tutto è in potenza, tutto sta per avvenire. Gli spazi ritratti sono una scenografia di un mondo che deve accadere, e che ospiterà attese, incontri, affari, gesti.
Basilico immortala il silenzio prima delle voci, la vita prima del suo compiersi. La sua è una narrazione sospesa, che affida il racconto alla grammatica della luce, senza disdegnare la suggestione del colore.
La Fiera che emerge dagli scatti di Basilico è il “mondo del possibile”: tutto è in potenza, tutto sta per avvenire. Gli spazi ritratti sono una scenografia di un mondo che deve accadere, e che ospiterà attese, incontri, affari, gesti.
Basilico immortala il silenzio prima delle voci, la vita prima del suo compiersi. La sua è una narrazione sospesa, che affida il racconto alla grammatica della luce, senza disdegnare la suggestione del colore.
Gianni Berengo Gardin, l’artigiano militante della “fotografia vera”
Nato nel 1930 nell’Hotel Imperiale di Santa Margherita Ligure, anima nomade, veneziano di famiglia e di carattere, Berengo Gardin approda al mondo della fotografia professionale agli inizi degli anni Sessanta per diventare protagonista di una lunga e ricca carriera nutrita da centinaia di reportage fotografici intrisi da una dimensione di indagine e documentazione sociale.
Con oltre due milioni di scatti, e più di duecentocinquanta pubblicazioni, Berengo Gardin è un archivio vivente, colui che ha raccontato la storia dell’Italia dal dopoguerra a oggi all’insegna di una grande coerenza stilistica e da un approccio “artigianale” alla pratica fotografica.
Maestro del bianco e nero, le sue immagini raccontano l’uomo nella sua dimensione sociale.
I suoi scatti, mai manipolati, riaffermano una visione partecipata della realtà ancorata a una concezione della fotografia come documento: “la vera fotografia”, come lui stesso la definisce.
Con le sue parole, “se si ha la pazienza di aspettare passa sempre qualcuno o qualcosa. Se succede, è bellissimo La foto non la fai te, la fa la gente che passa”.
Nato nel 1930 nell’Hotel Imperiale di Santa Margherita Ligure, anima nomade, veneziano di famiglia e di carattere, Berengo Gardin approda al mondo della fotografia professionale agli inizi degli anni Sessanta per diventare protagonista di una lunga e ricca carriera nutrita da centinaia di reportage fotografici intrisi da una dimensione di indagine e documentazione sociale.
Con oltre due milioni di scatti, e più di duecentocinquanta pubblicazioni, Berengo Gardin è un archivio vivente, colui che ha raccontato la storia dell’Italia dal dopoguerra a oggi all’insegna di una grande coerenza stilistica e da un approccio “artigianale” alla pratica fotografica.
Maestro del bianco e nero, le sue immagini raccontano l’uomo nella sua dimensione sociale.
I suoi scatti, mai manipolati, riaffermano una visione partecipata della realtà ancorata a una concezione della fotografia come documento: “la vera fotografia”, come lui stesso la definisce.
Con le sue parole, “se si ha la pazienza di aspettare passa sempre qualcuno o qualcosa. Se succede, è bellissimo La foto non la fai te, la fa la gente che passa”.
In Fiera, Berengo Gardin realizza un reportage costruito da una sequenza di attimi, sospensioni, gesti rubati che precedono, rincorrono, evocano gli affari e gli scambi che pure avvengono, ma che non sono mai al centro della scena.
L’occhio del fotografo si sofferma sui particolari, descrive le persone in rapporto allo spazio, strizza l’occhio, racconta il riposo e l’attesa, gioca complice con maestranze e spettatori, illumina particolari e volti sullo sfondo di una folla che sciama per i padiglioni riempiendo di vita lo spazio.
Aprendo “prospettive diverse”, Berengo Gardin ci guida “in spazi desueti con sguardi inconsueti”, annunciando “un mondo tra i mondi possibili”, come si dirà giustamente nell’introduzione del volume monografico che l’anno successivo raccoglie in una speciale pubblicazione gli scatti dei due fotografi (La Grande Fiera, 1985).
In Fiera, Berengo Gardin realizza un reportage costruito da una sequenza di attimi, sospensioni, gesti rubati che precedono, rincorrono, evocano gli affari e gli scambi che pure avvengono, ma che non sono mai al centro della scena.
L’occhio del fotografo si sofferma sui particolari, descrive le persone in rapporto allo spazio, strizza l’occhio, racconta il riposo e l’attesa, gioca complice con maestranze e spettatori, illumina particolari e volti sullo sfondo di una folla che sciama per i padiglioni riempiendo di vita lo spazio.
Aprendo “prospettive diverse”, Berengo Gardin ci guida “in spazi desueti con sguardi inconsueti”, annunciando “un mondo tra i mondi possibili”, come si dirà giustamente nell’introduzione del volume monografico che l’anno successivo raccoglie in una speciale pubblicazione gli scatti dei due fotografi (La Grande Fiera, 1985).
Basilico e Berengo Gardin nell’archivio della Fondazione Fiera
Se della Fiera Campionaria del 1985 resta appunto questo prezioso reportage di immagini d’autore, del lavoro di Basilico e Berengo Gardin negli archivi della Fondazione Fiera Milano resta qualcosa di più: 51 stampe in bianco e nero, 103 diapositive e 35 fogli di provini a contatto timbrati Gabriele Basilico a cui si aggiungono 113 stampe in bianco e nero, 65 fogli di provini contatto e 178 diapositive 35 mm di Gianni Berengo Gardin.
Documenti che, da allora, dialogano in modo costante, e perpetuo, tra loro e con l’osservatore, raccontando l’ultima scia di una Fiera sul viale del tramonto, alla vigilia di un cambiamento annunciato e per certi versi non più rimandabile.
Se della Fiera Campionaria del 1985 resta appunto questo prezioso reportage di immagini d’autore, del lavoro di Basilico e Berengo Gardin negli archivi della Fondazione Fiera Milano resta qualcosa di più: 51 stampe in bianco e nero, 103 diapositive e 35 fogli di provini a contatto timbrati Gabriele Basilico a cui si aggiungono 113 stampe in bianco e nero, 65 fogli di provini contatto e 178 diapositive 35 mm di Gianni Berengo Gardin.
Documenti che, da allora, dialogano in modo costante, e perpetuo, tra loro e con l’osservatore, raccontando l’ultima scia di una Fiera sul viale del tramonto, alla vigilia di un cambiamento annunciato e per certi versi non più rimandabile.