Percorso tematico
Inseguendo piazze d’armi, fiere e palazzetti. Un racconto Urbano inaspettato
Testo di Gianni Biondillo. Realizzato per Bookcity Milano 2024
Io me lo ricordo San Siro senza ancora il terzo anello. Ero un bambino, ed era la prima volta che andavo allo stadio. Ad essere sincero non so dirvi quale fosse la partita. Però mi rivedo imbacuccato in un cappottino (ho ancora la sensazione degli sbuffi di vapore che escono dalla bocca) mentre sventolo una bandiera salendo una rampa elicoidale che fascia lo stadio. C’è mio padre con me. Il ricordo è preciso e persino doloroso, oggi, tanto è vivido. Non sono mai stato uno sportivo, ero il classico bimbo grassottello che veniva messo in porta nelle partitelle di cortile. Ma San Siro era San Siro. Così come l’Arena, dove conclusi una corsa (questa volta ero alle medie) attorno al parco con centinaia di studenti della mia età. Arrivai fra gli ultimi, ma non ultimo (almeno questo!). Mi diedero una medaglia e una bibita per rinfrancarmi.
Io me lo ricordo San Siro senza ancora il terzo anello. Ero un bambino, ed era la prima volta che andavo allo stadio. Ad essere sincero non so dirvi quale fosse la partita. Però mi rivedo imbacuccato in un cappottino (ho ancora la sensazione degli sbuffi di vapore che escono dalla bocca) mentre sventolo una bandiera salendo una rampa elicoidale che fascia lo stadio. C’è mio padre con me. Il ricordo è preciso e persino doloroso, oggi, tanto è vivido. Non sono mai stato uno sportivo, ero il classico bimbo grassottello che veniva messo in porta nelle partitelle di cortile. Ma San Siro era San Siro. Così come l’Arena, dove conclusi una corsa (questa volta ero alle medie) attorno al parco con centinaia di studenti della mia età. Arrivai fra gli ultimi, ma non ultimo (almeno questo!). Mi diedero una medaglia e una bibita per rinfrancarmi.
Se mi ci metto potrei fare di ogni luogo dello sport milanese un racconto. La città ha, per tutto il secolo scorso, distribuito sul suo territorio impianti sportivi di ogni sorta, come a voler dare ai suoi abitanti l’opportunità di praticare, ad ogni livello, lo sport. Oppure anche solo goderne come spettatore. Si è creata così una topografia particolare, fatta di luoghi che attraggono da decenni centinaia, migliaia di persone. Per fare attività fisica, per ammirarla, ma anche, per assistere a spettacoli, concerti, manifestazioni, comizi. Una città, lo sappiamo, non è fatta di sole case, di abitazioni, di spazi privati. È, anzi (e soprattutto!), lo spazio della condivisione sociale. E cosa più dello sport ha saputo unire cittadini, generazioni, strati sociali differenti? Certo, l’architetto che è in me magari distingue la qualità dalla quantità, ma lo scrittore che è in me ama ripercorrere quei luoghi, vetusti o nuovi, belli o brutti, presenti o scomparsi, senza pregiudizi. La storia privata di ognuno di noi si confonde con questi spazi, la memoria urbana in fondo è proprio questo: fare di un luogo uno spazio condiviso, dove ci si riconosce.
Se mi ci metto potrei fare di ogni luogo dello sport milanese un racconto. La città ha, per tutto il secolo scorso, distribuito sul suo territorio impianti sportivi di ogni sorta, come a voler dare ai suoi abitanti l’opportunità di praticare, ad ogni livello, lo sport. Oppure anche solo goderne come spettatore. Si è creata così una topografia particolare, fatta di luoghi che attraggono da decenni centinaia, migliaia di persone. Per fare attività fisica, per ammirarla, ma anche, per assistere a spettacoli, concerti, manifestazioni, comizi. Una città, lo sappiamo, non è fatta di sole case, di abitazioni, di spazi privati. È, anzi (e soprattutto!), lo spazio della condivisione sociale. E cosa più dello sport ha saputo unire cittadini, generazioni, strati sociali differenti? Certo, l’architetto che è in me magari distingue la qualità dalla quantità, ma lo scrittore che è in me ama ripercorrere quei luoghi, vetusti o nuovi, belli o brutti, presenti o scomparsi, senza pregiudizi. La storia privata di ognuno di noi si confonde con questi spazi, la memoria urbana in fondo è proprio questo: fare di un luogo uno spazio condiviso, dove ci si riconosce.
Non sono mai stato uno sportivo, dicevo. Ma l’enorme Palazzo dello Sport, il primo costruito in città, che oggi conosciamo come Palazzo delle scintille, mi aveva sempre affascinato, fin da quando mio padre mi ci portava a visitare la Fiera Campionaria, quel momento dell’anno in cui i milanesi ammiravano la laboriosità meneghina e, in una sorta di processione laica, si riempivano le tasche di dépliant inneggianti ad ogni novità tecnologica (costante, questa, raccontata da tutti, compreso illustri scrittori, da Gadda in poi). Il palazzetto di Vietti Violi, durante la fiera, veniva usato come padiglione per la mostra delle automobili. Non c’era promiscuità in questo. Lo spazio si prestava, e si presta, a varie funzioni. Non dimentichiamo che la presenza della Fiera Campionaria aveva permesso alle squadre meneghine di partecipare di diritto alla coppa delle Fiere, l’antesignana della coppa Uefa (oggi Europa League). Finita la manifestazione fieristica il padiglione tornava a ospitare incontri di varia natura. Ciclismo, pugilato, basket (e durante la pandemia il più grande hub di vaccinazione d’Italia).
Non sono mai stato uno sportivo, dicevo. Ma l’enorme Palazzo dello Sport, il primo costruito in città, che oggi conosciamo come Palazzo delle scintille, mi aveva sempre affascinato, fin da quando mio padre mi ci portava a visitare la Fiera Campionaria, quel momento dell’anno in cui i milanesi ammiravano la laboriosità meneghina e, in una sorta di processione laica, si riempivano le tasche di dépliant inneggianti ad ogni novità tecnologica (costante, questa, raccontata da tutti, compreso illustri scrittori, da Gadda in poi). Il palazzetto di Vietti Violi, durante la fiera, veniva usato come padiglione per la mostra delle automobili. Non c’era promiscuità in questo. Lo spazio si prestava, e si presta, a varie funzioni. Non dimentichiamo che la presenza della Fiera Campionaria aveva permesso alle squadre meneghine di partecipare di diritto alla coppa delle Fiere, l’antesignana della coppa Uefa (oggi Europa League). Finita la manifestazione fieristica il padiglione tornava a ospitare incontri di varia natura. Ciclismo, pugilato, basket (e durante la pandemia il più grande hub di vaccinazione d’Italia).
Su quella direttiva, fra le Scintille e San Siro, ci sono forse gli impianti sportivi più importanti di Milano: il velodromo Vigorelli, dove nonostante la originaria funzione ciclistica sembra che tutti se lo ricordino per l’unico concerto dei Beatles a Milano (oggi ci fanno football americano), il Palalido (oggi Allianz Cloud) dedicato alla pallacanestro, l’ippodromo, dove troneggia il cavallo di Leonardo (che non è di Leonardo, ma la storia qui si farebbe lunga), il Palasharp (struttura che ha cambiato più nomi che funzioni nel corso dei decenni. Io continuo ad identificarlo come PalaTrussardi). Ma, per dirla con Baudelaire, le città cambiano più velocemente del cuore di un mortale! Nonostante il crollo dovuto alla memorabile nevicata del 1985 (o forse proprio per quella), nel mio cuore non può mancare il ricordo del palasport di San Siro, con la sua sinuosa forma a sella di cavallo. Ci vidi un concerto di Pino Daniele, lì. In realtà l’acustica era pessima, ma il concerto fu memorabile.
Su quella direttiva, fra le Scintille e San Siro, ci sono forse gli impianti sportivi più importanti di Milano: il velodromo Vigorelli, dove nonostante la originaria funzione ciclistica sembra che tutti se lo ricordino per l’unico concerto dei Beatles a Milano (oggi ci fanno football americano), il Palalido (oggi Allianz Cloud) dedicato alla pallacanestro, l’ippodromo, dove troneggia il cavallo di Leonardo (che non è di Leonardo, ma la storia qui si farebbe lunga), il Palasharp (struttura che ha cambiato più nomi che funzioni nel corso dei decenni. Io continuo ad identificarlo come PalaTrussardi). Ma, per dirla con Baudelaire, le città cambiano più velocemente del cuore di un mortale! Nonostante il crollo dovuto alla memorabile nevicata del 1985 (o forse proprio per quella), nel mio cuore non può mancare il ricordo del palasport di San Siro, con la sua sinuosa forma a sella di cavallo. Ci vidi un concerto di Pino Daniele, lì. In realtà l’acustica era pessima, ma il concerto fu memorabile.
E non dimentichiamo che Milano è una città d’acqua. Di navigli, canali, rogge. E piscine. Da quelle popolari, e purtroppo in disuso, come il Lido di Milano, dove con mia madre e mio padre si passavano le domeniche d’estate, alla Scarioni, la Argelati, la Romano (ma chiamata da tutti noi studenti del Politecnico, la Ponzio). E poi quelle coperte, distribuite capillarmente nei vari quartieri della città: la Solari, la Carella Cantù, la De Marchi, la Mincio, la nuovissima della Bocconi, e tante altre. Fra queste troneggia la Cozzi, gioiello di architettura sportiva degli anni Trenta, e per me soprattutto la piscina dove portavo le mie figlie da bambine e le ammiravo commosso mentre sguazzavano come pescioline, avanti e indietro, avanti e indietro.
E non dimentichiamo che Milano è una città d’acqua. Di navigli, canali, rogge. E piscine. Da quelle popolari, e purtroppo in disuso, come il Lido di Milano, dove con mia madre e mio padre si passavano le domeniche d’estate, alla Scarioni, la Argelati, la Romano (ma chiamata da tutti noi studenti del Politecnico, la Ponzio). E poi quelle coperte, distribuite capillarmente nei vari quartieri della città: la Solari, la Carella Cantù, la De Marchi, la Mincio, la nuovissima della Bocconi, e tante altre. Fra queste troneggia la Cozzi, gioiello di architettura sportiva degli anni Trenta, e per me soprattutto la piscina dove portavo le mie figlie da bambine e le ammiravo commosso mentre sguazzavano come pescioline, avanti e indietro, avanti e indietro.
Ché, insisto, la città non è solo una sommatoria sorda di architetture, di funzioni, di utilità. È uno spazio condiviso dove la memoria, pubblica e privata, si fa pietra, si fa storia. Non ricordo quale fosse la partita che mio padre mi portò a vedere, quand’ero bambino. E forse non lo voglio ricordare apposta. Il calcio era il nostro argomento di discussione, da quando se ne è andato ho smesso di parlarne, così da tenere solo per me, nello scrigno della mia memoria, quei discorsi futili eppure così affettuosi. Ma senza nostalgie. In attesa, anzi, dei prossimi ricordi legati allo sport che la città saprà regalarmi. In attesa delle Olimpiadi del 2026, insomma.
Ché, insisto, la città non è solo una sommatoria sorda di architetture, di funzioni, di utilità. È uno spazio condiviso dove la memoria, pubblica e privata, si fa pietra, si fa storia. Non ricordo quale fosse la partita che mio padre mi portò a vedere, quand’ero bambino. E forse non lo voglio ricordare apposta. Il calcio era il nostro argomento di discussione, da quando se ne è andato ho smesso di parlarne, così da tenere solo per me, nello scrigno della mia memoria, quei discorsi futili eppure così affettuosi. Ma senza nostalgie. In attesa, anzi, dei prossimi ricordi legati allo sport che la città saprà regalarmi. In attesa delle Olimpiadi del 2026, insomma.