Percorso tematico
Indagine su una cittadina al di sopra di ogni sospetto
Le donne nella storia della Fiera di Milano
In occasione della quarta edizione di Archivissima, festival che promuove la cultura d’archivio e che ha portato negli anni migliaia di persone dentro i luoghi dove vengono conservati patrimoni pubblici e privati abbiamo ripercorso gli anni d’oro della Fiera attraverso il patrimonio archivistico fotografico, testuale, cinematografico e sonoro alla ricerca delle donne che hanno lasciato una traccia importante di cambiamento ed emancipazione nella società.
In mezzo a tutte quelle persone che ogni anno rendevano viva la Fiera, dove sono le donne?
Che cosa le portava in Fiera, e qual era il loro ruolo all’interno di questo mondo fantastico e reale?
Vale la pena prendersi del tempo, e attraverso i materiali conservati dall’Archivio Storico di Fondazione Fiera Milano provare a disegnare un percorso fatto di progressi, ma anche di ferite da cui rialzarsi, indagare fotografie e reportage per trovare una donna speciale che abbia segnato un cambiamento, una trasformazione nella storia della Fiera.
In occasione della quarta edizione di Archivissima, festival che promuove la cultura d’archivio e che ha portato negli anni migliaia di persone dentro i luoghi dove vengono conservati patrimoni pubblici e privati abbiamo ripercorso gli anni d’oro della Fiera attraverso il patrimonio archivistico fotografico, testuale, cinematografico e sonoro alla ricerca delle donne che hanno lasciato una traccia importante di cambiamento ed emancipazione nella società.
In mezzo a tutte quelle persone che ogni anno rendevano viva la Fiera, dove sono le donne?
Che cosa le portava in Fiera, e qual era il loro ruolo all’interno di questo mondo fantastico e reale?
Vale la pena prendersi del tempo, e attraverso i materiali conservati dall’Archivio Storico di Fondazione Fiera Milano provare a disegnare un percorso fatto di progressi, ma anche di ferite da cui rialzarsi, indagare fotografie e reportage per trovare una donna speciale che abbia segnato un cambiamento, una trasformazione nella storia della Fiera.
Saper fermare il tempo con la scrittura
A illuminare la nostra strada in archivio ci pensa subito una figura capace di dare forma e colore alle cose attraverso la sua penna: Mariapia Beltrami, fra le poche donne a imporsi con il proprio lavoro in un mondo maschile come quello del giornalismo negli anni Cinquanta, i cui articoli per per la Rivista Ufficiale della Fiera di Milano riescono a riportarci direttamente fra quei padiglioni come astronavi, le architetture futuristiche, le scoperte tecnologiche, le visitatrici e visitatori della Fiera.
Da Il Giornale della Fiera del 1952: «Per che cosa credete che Galvani abbia stuzzicato le sue povere rane scuoiate e Edison imprigionato laboriosamente la serpentina giallastra dell’elettricità nel bulbo di vetro della prima, rustica lampadina? Forse per dare luce all’umanità e vita alle aziende elettriche? Per illuminare insieme le case e le strade, le sale da ballo e le soffitte, Buckingham Palace e la stella rossa sul pinnacolo del Cremlino? In verità la luce elettrica è stata scoperta – e la tecnica l’ha variamente applicata e l’industria se n’è impadronita – perché nelle notti di aprile di una certa città, in un certo Paese, gli uomini potessero levare alla luna i riflessi di mille colori, il palpito di mille incandescenze, il guizzare di mille fiamme senza fuoco.»
Ora che i fari sono stati posizionati con un certo stile, siamo pronti a scorrere le fotografie delle donne che hanno fatto la storia della Fiera Campionaria di Milano, protagoniste di un microcosmo come quello fieristico che racconta molto di tutta la società italiana — e non solo, visto il carattere internazionale della manifestazione — in un periodo di grandi cambiamenti come il Dopoguerra.
A illuminare la nostra strada in archivio ci pensa subito una figura capace di dare forma e colore alle cose attraverso la sua penna: Mariapia Beltrami, fra le poche donne a imporsi con il proprio lavoro in un mondo maschile come quello del giornalismo negli anni Cinquanta, i cui articoli per per la Rivista Ufficiale della Fiera di Milano riescono a riportarci direttamente fra quei padiglioni come astronavi, le architetture futuristiche, le scoperte tecnologiche, le visitatrici e visitatori della Fiera.
Da Il Giornale della Fiera del 1952: «Per che cosa credete che Galvani abbia stuzzicato le sue povere rane scuoiate e Edison imprigionato laboriosamente la serpentina giallastra dell’elettricità nel bulbo di vetro della prima, rustica lampadina? Forse per dare luce all’umanità e vita alle aziende elettriche? Per illuminare insieme le case e le strade, le sale da ballo e le soffitte, Buckingham Palace e la stella rossa sul pinnacolo del Cremlino? In verità la luce elettrica è stata scoperta – e la tecnica l’ha variamente applicata e l’industria se n’è impadronita – perché nelle notti di aprile di una certa città, in un certo Paese, gli uomini potessero levare alla luna i riflessi di mille colori, il palpito di mille incandescenze, il guizzare di mille fiamme senza fuoco.»
Ora che i fari sono stati posizionati con un certo stile, siamo pronti a scorrere le fotografie delle donne che hanno fatto la storia della Fiera Campionaria di Milano, protagoniste di un microcosmo come quello fieristico che racconta molto di tutta la società italiana — e non solo, visto il carattere internazionale della manifestazione — in un periodo di grandi cambiamenti come il Dopoguerra.
Una presenza folkloristica
Dagli anni Venti e fino alla Guerra, l’archivio testimonia una presenza femminile rilegata a ruoli folkloristici: donne in abiti tradizionali asservite al potere e pensate come strumento di propaganda, in maniera particolare nel periodo successivo alle Sanzioni economiche, deliberate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia Fascista in risposta all’attacco contro l’Etiopia (le sanzioni rimasero in vigore dal 18 novembre 1935 sino al 14 luglio 1936).
Dagli anni Venti e fino alla Guerra, l’archivio testimonia una presenza femminile rilegata a ruoli folkloristici: donne in abiti tradizionali asservite al potere e pensate come strumento di propaganda, in maniera particolare nel periodo successivo alle Sanzioni economiche, deliberate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia Fascista in risposta all’attacco contro l’Etiopia (le sanzioni rimasero in vigore dal 18 novembre 1935 sino al 14 luglio 1936).
Il tempo delle hostess
A poco a poco e fino al Dopoguerra, le donne guadagnano un ruolo meno passivo, quello di hostess: “utilizzatrici” del prodotto messo in mostra, rappresentano una dinamica classica degli stand che fanno pubblicità a una marca o a un modello specifico.
Particolarmente suggestiva è l’immagine dedicata alle casseforti PAS, datata 1951: tre ragazze con la gonna dritta al ginocchio, un’eleganza sobria, all’interno di un enorme caveau.
Il contrasto fra il loro sorriso e il senso di claustrofobia ispirato dall’articolo pubblicizzato, il suo peso massiccio parla di un tempo in cui le donne sono state costrette a far buon viso a cattivo gioco.
Con gli anni Sessanta l’hostess diventa cruciale nell’economia della Fiera: conosce l’inglese, il francese, il tedesco, assiste i turisti stranieri e spesso accompagna i buyer arrivati dall’estero a Milano per fare affari e valutare le novità più interessanti.
Ora le interpreti hanno l’aria seria di chi non lascia nulla al caso, indossano divise un po’ militaresche: le bandierine sulla manica sinistra non sono però il simbolo degli eserciti per cui combattono la battaglia, ma le lingue in cui sono specializzate.
A poco a poco e fino al Dopoguerra, le donne guadagnano un ruolo meno passivo, quello di hostess: “utilizzatrici” del prodotto messo in mostra, rappresentano una dinamica classica degli stand che fanno pubblicità a una marca o a un modello specifico.
Particolarmente suggestiva è l’immagine dedicata alle casseforti PAS, datata 1951: tre ragazze con la gonna dritta al ginocchio, un’eleganza sobria, all’interno di un enorme caveau.
Il contrasto fra il loro sorriso e il senso di claustrofobia ispirato dall’articolo pubblicizzato, il suo peso massiccio parla di un tempo in cui le donne sono state costrette a far buon viso a cattivo gioco.
Con gli anni Sessanta l’hostess diventa cruciale nell’economia della Fiera: conosce l’inglese, il francese, il tedesco, assiste i turisti stranieri e spesso accompagna i buyer arrivati dall’estero a Milano per fare affari e valutare le novità più interessanti.
Ora le interpreti hanno l’aria seria di chi non lascia nulla al caso, indossano divise un po’ militaresche: le bandierine sulla manica sinistra non sono però il simbolo degli eserciti per cui combattono la battaglia, ma le lingue in cui sono specializzate.
Le consumatrici
Il boom economico caratterizza la fase di capitalismo avanzato della società italiana, che vede stabilizzarsi livelli di vita e di benessere precedentemente acquisiti: in tale contesto la famiglia assume funzioni di consumo, ossia diventa il tramite istituzionale per l’utilizzo dei beni prodotti dal sistema industriale, in quanto luogo di mediazione tra risorse e bisogni.
Tutti questi compiti vengono svolti dalla madre-casalinga, le cui prestazioni costituiscono un lavoro vero e proprio, svolto però all’interno delle mura domestiche e senza un riconoscimento sociale ed economico.
Le casalinghe sono definibili come amministratrici della casa ed esperte consumatrici: si tratta di funzioni a cui viene attribuito un significato di privilegio, perché ricoperte in un primo tempo dalle donne del ceto medio, in un periodo in cui quelle della classe operaia sono ancora prevalentemente presenti sul mercato del lavoro.
Il boom economico caratterizza la fase di capitalismo avanzato della società italiana, che vede stabilizzarsi livelli di vita e di benessere precedentemente acquisiti: in tale contesto la famiglia assume funzioni di consumo, ossia diventa il tramite istituzionale per l’utilizzo dei beni prodotti dal sistema industriale, in quanto luogo di mediazione tra risorse e bisogni.
Tutti questi compiti vengono svolti dalla madre-casalinga, le cui prestazioni costituiscono un lavoro vero e proprio, svolto però all’interno delle mura domestiche e senza un riconoscimento sociale ed economico.
Le casalinghe sono definibili come amministratrici della casa ed esperte consumatrici: si tratta di funzioni a cui viene attribuito un significato di privilegio, perché ricoperte in un primo tempo dalle donne del ceto medio, in un periodo in cui quelle della classe operaia sono ancora prevalentemente presenti sul mercato del lavoro.
La via di Buzzati
Chi scegliere dunque come figura femminile più rappresentativa della Fiera Campionaria? Impossibile decidersi: la voce delle donne è una voce collettiva, che trova la sua forza nell’unione.
Forse solo l’archivio può aiutarci a trovare una risposta che rispetti questa esigenza…
È un articolo di Dino Buzzati, pubblicato sul Corriere della Sera il 14 aprile 1970 ad aiutarci a sciogliere questo nodo e a portarci sulla strada giusta. Più che un articolo sembra la sceneggiatura per un film.
Comincia così: «Il recinto della Fiera di Milano. Varia folla. Prevalenza maschile. Molti uomini magri in scuro, con occhiali e valigetta-scatola tipo “executive”. Bandiere. Aria di festa. È il mattino dell’inaugurazione. Milano in persona tiene una specie di conferenza stampa. È Milano a parlare: “Ecco, cari amici. Per la quarantottesima volta stamattina mi sono svegliata diversa dal giorno precedente, più intraprendente, più ottimista».
«È Milano a parlare: “Ecco, cari amici. Per la quarantottesima volta stamattina mi sono svegliata diversa dal giorno precedente, più intraprendente, più ottimista. Non c’è che la Fiera, confesso, a darmi questa joie de vivre. Ma, a proposito, in carne ed ossa non la vedo ancora… Franci! Franci! (Si fa avanti il cavaliere del lavoro dottor Michele Franci, segretario generale). Franci: Lo so… ogni anno la stessa storia… Par sempre impossibile che per il giorno stabilito lei sia pronta… ci fa sempre stare in palpiti… ma poi, è sempre stata puntuale… Insomma, cara Milano, neanche oggi c’è da aver paura.»
«Milano: […] Ehm, senta, Franci, qui stanno per arrivare le autorità, e la Fiera ancora non si vede.., ormai non fa più in tempo… Mi dica lei come ci salviamo la faccia… Franci: Ma se è sempre stata puntuale!… Milano: Che non sia già qui, in mezzo alla folla?… Lo sa com’è vestita? Franci: Come si sia messa oggi, non lo so… L’ultima volta che l’ho vista, l’anno scorso… portava un tailleur grigio-azzurro, molto serio, soltanto al bavero una piccola “broche” di diamanti… Milano: Minigonna? Franci: Oh no. Ripeto: tailleur molto serio. Non si è mica più ai tempi che compariva in costume di balia brianzola…»
Chi scegliere dunque come figura femminile più rappresentativa della Fiera Campionaria? Impossibile decidersi: la voce delle donne è una voce collettiva, che trova la sua forza nell’unione.
Forse solo l’archivio può aiutarci a trovare una risposta che rispetti questa esigenza…
È un articolo di Dino Buzzati, pubblicato sul Corriere della Sera il 14 aprile 1970 ad aiutarci a sciogliere questo nodo e a portarci sulla strada giusta. Più che un articolo sembra la sceneggiatura per un film.
Comincia così: «Il recinto della Fiera di Milano. Varia folla. Prevalenza maschile. Molti uomini magri in scuro, con occhiali e valigetta-scatola tipo “executive”. Bandiere. Aria di festa. È il mattino dell’inaugurazione. Milano in persona tiene una specie di conferenza stampa. È Milano a parlare: “Ecco, cari amici. Per la quarantottesima volta stamattina mi sono svegliata diversa dal giorno precedente, più intraprendente, più ottimista».
«È Milano a parlare: “Ecco, cari amici. Per la quarantottesima volta stamattina mi sono svegliata diversa dal giorno precedente, più intraprendente, più ottimista. Non c’è che la Fiera, confesso, a darmi questa joie de vivre. Ma, a proposito, in carne ed ossa non la vedo ancora… Franci! Franci! (Si fa avanti il cavaliere del lavoro dottor Michele Franci, segretario generale). Franci: Lo so… ogni anno la stessa storia… Par sempre impossibile che per il giorno stabilito lei sia pronta… ci fa sempre stare in palpiti… ma poi, è sempre stata puntuale… Insomma, cara Milano, neanche oggi c’è da aver paura.»
«Milano: […] Ehm, senta, Franci, qui stanno per arrivare le autorità, e la Fiera ancora non si vede.., ormai non fa più in tempo… Mi dica lei come ci salviamo la faccia… Franci: Ma se è sempre stata puntuale!… Milano: Che non sia già qui, in mezzo alla folla?… Lo sa com’è vestita? Franci: Come si sia messa oggi, non lo so… L’ultima volta che l’ho vista, l’anno scorso… portava un tailleur grigio-azzurro, molto serio, soltanto al bavero una piccola “broche” di diamanti… Milano: Minigonna? Franci: Oh no. Ripeto: tailleur molto serio. Non si è mica più ai tempi che compariva in costume di balia brianzola…»
Fiera è donna!
Il dialogo, nella prosa irresistibile di Buzzati, prosegue fino a quando interviene un Operatore Economico — negli anni Ottanta lo avremmo definito yuppie — che, staccandosi dal folto gruppo dei suoi pari avanza verso Milano parlando contemporaneamente in sei lingue diverse, per instillare un dubbio preciso. «Operatore Economico: “Signori, perdonate se mi intrometto. Ma siete sicuri che sia proprio vestita da donna?” Franci: “Come sarebbe a dire?” Operatore Economico: “Voglio dire: siete sicuri che sia sempre una donna, la vostra benedettissima Fiera?”».
Attraverso la domanda pretestuosa dell’Operatore Economico buzzatiano ecco l’illuminazione che cercavamo: la donna che stavamo cercando, simbolo di progresso, trasformazione, emancipazione, sorellanza, stile, forza è nient’altro che la Fiera.
Il dialogo, nella prosa irresistibile di Buzzati, prosegue fino a quando interviene un Operatore Economico — negli anni Ottanta lo avremmo definito yuppie — che, staccandosi dal folto gruppo dei suoi pari avanza verso Milano parlando contemporaneamente in sei lingue diverse, per instillare un dubbio preciso. «Operatore Economico: “Signori, perdonate se mi intrometto. Ma siete sicuri che sia proprio vestita da donna?” Franci: “Come sarebbe a dire?” Operatore Economico: “Voglio dire: siete sicuri che sia sempre una donna, la vostra benedettissima Fiera?”».
Attraverso la domanda pretestuosa dell’Operatore Economico buzzatiano ecco l’illuminazione che cercavamo: la donna che stavamo cercando, simbolo di progresso, trasformazione, emancipazione, sorellanza, stile, forza è nient’altro che la Fiera.
Atlante Sonoro Degli Archivi Italiani
Se ami i podcast puoi ascoltare questa storia direttamente qui (o su Spotify, Google Podcasts, Apple Podcasts, Deezer), raccontata dalla voce di Valentina De Poli, che all’Archivio di Fiera Milano — e alle donne che ne hanno illuminato le sorti — ha dedicato un’intera puntata della prima stagione dell’Atlante Sonoro Degli Archivi Italiani, progetto di audio on demand curato da Promemoria Group per Archivissima 2020.
Se ami i podcast puoi ascoltare questa storia direttamente qui (o su Spotify, Google Podcasts, Apple Podcasts, Deezer), raccontata dalla voce di Valentina De Poli, che all’Archivio di Fiera Milano — e alle donne che ne hanno illuminato le sorti — ha dedicato un’intera puntata della prima stagione dell’Atlante Sonoro Degli Archivi Italiani, progetto di audio on demand curato da Promemoria Group per Archivissima 2020.